16 aprile 2023 - II domenica di Pasqua (A)

Omelie festive

Giovanni 20,19-31


1. Non per vendetta, ma per amore

Gesù risorto si fa vicino ai suoi discepoli: le donne che si sono recate al sepolcro,
Maria di Magdala, i due discepoli di Emmaus, il gruppo dei discepoli barricati nel cenacolo…
Divenuto vincitore e trionfatore, non torna per vendicarsi e per farla pagare
a partire dai suoi discepoli, che lo hanno tradito, rinnegato, abbandonato…
ma per manifestare chiaramente la sua sete di amore: com'è salito al Padre per amore,
così sta accanto al Padre con nostalgia di noi, conservando tutto il suo attaccamento di amore
alla nostra umanità: desidera soltanto recare aiuto, soccorso.

2. Il dono della pace-perdono

Nella sua prima apparizione trova i suoi discepoli dominati dalla paura e li porta alla pace.
Anche noi oggi siamo in preda a tante e gravi paure: per la guerra, la pandemia, le prospettive
economiche preoccupanti, il sospetto che Dio si sia spazientito di noi: anche oggi porta la pace.
La sua pace non è frutto di negoziati, concessioni, compromessi, ma del suo perdono unilaterale:
per i discepoli peccatori di allora e di oggi questa pace-perdono è dono totale, sorpresa assoluta.
Ma se ci dona questa pace-perdono è per una missione di pace e perdono in mezzo all’umanità:
“Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi… A coloro a cui perdonerete
i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”.
La forza, di cui il Risorto ci dota per questa missione, è lo Spirito Santo:
quello Spirito, che riceve dal Padre per portare pace e perdono a noi, lui lo dona a noi,
perché abbiamo a portare a nostra volta pace e perdono agli altri.
La Presenza di pace e di perdono, che noi cristiani abbiamo sperimentato e stiamo sperimentando anche
nei sacramenti pasquali, deve metterci in missione per irradiare intorno a noi pacificazione, che
conta solo sulla forza dello Spirito Santo e che ricorre al perdono nelle nostre relazioni quotidiane.

3. Il dono della fede

In occasione della seconda apparizione otto giorni dopo la sua risurrezione,
c'è un invito rivolto al riluttante discepolo Tommaso: “Non essere incredulo ma credente”:
il discepolo in preda all’incredulità è portato alla pienezza della fede: “Mio Signore e mio Dio!”.
Oggi siamo noi i discepoli che hanno bisogno di essere aiutati da Lui a ricuperare una fede più piena.
Impariamo da Tommaso: è sua intenzione rapportarsi alle piaghe di Gesù,
ricorrendo al vedere e al toccare. Accostate così, le piaghe di Gesù non portano alla fede,
ma al massimo portano a constatare un dato di fatto: Colui che è stato crocifisso è tornato a vivere.
Gesù spinge Tommaso a cambiare radicalmente il suo modo di rapportarsi con le sue piaghe:
gli dice: “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco;
e non essere incredulo, ma credente!”. Tommaso da queste parole di Gesù è indotto
ad accostare le piaghe di Gesù come segni da interpretare con l’intelligenza della fede:
“Gesù mettendomi a disposizione le sue piaghe, mi rivela che è uno che mi conosce dentro
nei miei pensieri: questo lo può fare solo Dio. Gesù mettendomi a disposizione le sue piaghe,
mi rivela che è uno che mi ama e mi prende così come sono nelle mie fatiche a credere, è uno
che mi ama, mi desidera e mi aiuta a credere in Lui: questo lo può fare solo Dio. Queste piaghe
allora mi rivelano non solo che Gesù è tornato a vivere, mi rivelano anche che questo Gesù,
che è stato crocifisso, è il Signore Dio, al quale devo tutta la mia dedizione di fede e di amore”.
Il Risorto aiuti anche noi a scorgere nella sua vicenda di passione, di morte e di risurrezione
la qualità divina, e quindi infinita ed eterna, del suo amore per noi, così che anche noi
come Tommaso arriviamo a prestargli tutta la nostra dedizione di fede e di amore.
 

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